Faremo pane e pasta con i grilli?

Dall’inizio del 2023 anche la polvere di grillo (Acheta domesticus) entra ufficialmente nella lista degli alimenti per uso umano autorizzati in Europa. Non è una prima assoluta: nel maggio del 2021 erano stati infatti autorizzati alcuni prodotti a base di camola della farina (Tenebrio molitor, tenebrione mugnaio) e di Locusta migratoria, una grossa cavalletta. Erano già stati permessi anche i grilli, ma interi.

L’autorizzazione appena entrata in vigore si riferisce alla sola polvere di grillo, o meglio a quella prodotta da un’azienda vietnamita, chiamata Cricket One, che ne aveva fatto richiesta nel 2019. Ha validità per 5 anni dalla data di entrata in vigore del regolamento.

La polvere di grillo potrà essere usata per molte preparazioni, dal pane alla paste alle zuppe, eccetera, seguendo un po’ il filone che sta andando di moda di questi tempi degli alimenti “proteici”, cioè con una percentuale di proteine più alta rispetto ai prodotti tradizionali, cui siamo abituati.

Immagine di Gordon Johnson (via Pixabay).

Per mettere questa notizia nel giusto contesto, può essere utile ripercorrere la storia di questi prodotti contenenti polvere di insetto, che esistono già da molti anni.

Già in occasione dell’Expo di Milano, nel 2015, erano stati oggetto di molta curiosità, e di un acceso dibattito pubblico. All’epoca non esistevano autorizzazioni a livello comunitario, ma alcuni stati, come il Belgio, si erano portati avanti autorizzando internamente il consumo di insetti interi e polveri da aggiungere ad altri alimenti, e avevano pensato di offrirli quindi come novità degna di nota. La degustazione offerta nel padiglione belga fu inizialmente bloccata dalle autorità, e fu possibile dopo alcuni giorni solo grazie a una speciale derogada parte delle autorità sanitarie.

Sul piano normativo, gli insetti sono considerati “novel food”, cioè alimenti o ingredienti che prima del Regolamento CE 258 del 1997 non sono mai stati consumati all’interno dell’Unione europea in un quantitativo significativo per definirli cibo. Hanno quindi bisogno di una specifica autorizzazione, basata sulla valutazione del rischio, da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, EFSA.

È bene tener presente che queste autorizzazioni riguardano i singoli prodotti, e non l’intera categoria. Quindi non è stata autorizzata in generale la vendita di farina di grillo per uso alimentare, così come in passato non erano state autorizzate le larve o le cavallette. È stata autorizzata una specifica farina di grillo prodotta da un’azienda che ha dovuto presentare un dossier articolatissimo sul metodo di produzione e sulle caratteristiche nutrizionali e sanitarie del prodotto.

Alla luce della richiesta di autorizzazione preesentata nel 2019 da Cricket One, la Commissione Europea nel luglio del 2020 ha incaricato l’EFSA di effettuare la propria valutazione, che dopo circa due anni si è conclusa con un parere scientifico positivo sulla sicurezza della polvere parzialmente sgrassata di grillo. L’unica sengnalazione di un potenziale rischio riguarda le persone allergiche a crostacei, molluschi o acari della polvere, come era già avvenuto per le larve di camola o per le cavallette. Proprio per questo, la normativa impone che qualsiasi alimento contenente questa polvere ne segnali con chiarezza la presenza in etichetta, così da permettere a chi è allergico di evitarne il consumo, come accade per moltissimi ingredienti di ogni tipo.

Insomma, il processo di autorizzazione alla vendita è lungo e complesso, e molto attento alla innocuità e sicurezza per tutti i consumatori. Insomma è lontanisssimo dalla realtà dei fatto chi mette in guardia contro un’imminente invasione di prodotti a base di insetti allevati nei modi più disparati, senza controlli di sorta e in condizioni igieniche precarie, come nello scenario distopico che è stato presentato da alcuni commentatori sugli organi di stampa negli ultimi tempi. I prodotti oggi sul mercato, e quelli che probabilmente arriveranno nel prossimo futuro, sono sottoposti a controlli di innocuità e sicurezza paragonabili a quelli usati per l’approvazione dei farmaci.

Perché introdurre alimenti a base di insetti?

Secondo alcune stime, il mercato globale degli insetti per alimentazione umana è in netta crescita. Ci sono paesi nei quali il consumo di insetti fa parte della tradizione culinaria, che stanno facendo da traino, ma sono sempre più numerosi quelli che seguono, anche spinti dalla cosiddetta “moda delle proteine”, che per esempio ha preso piede negli Stati Uniti. Complessivamente, nel mondo sono ritenute adatte al consumo alimentare  un centinaio di specie diverse.

In molti paesi, il principale ostacolo alla loro diffusione è di tipo culturale. Siamo una specie conservatrice, e magari siamo disposti ad assaggiare le novità esotiche, ma prima di introdurle stabilmente nella nostra cucina – magari al posto di altri ingredienti appartenenti alla tradizione – spesso facciamo resistenza.

Perché un cibo esotico prenda piede deve dare a chi cucina, e a chi mangia, qualche motivo particolare di soddisfazione. Oggi il mais è presente in molte varianti in tutti i supermercati, e nelle dispense di moltissime famiglie, soprattutto nelle regioni settentrionali, amanti della polenta. Ovviamente quando è arrivato dalle Americhe era quello che oggi si chiamerebbe un “novel food”, ma è riuscito a soppiantare il miglio, l’ingrediente tradizionale usato all’epoca per fare la polenta. Ha avuto successo non perché più nutriente, ma perché permette di ottenere una polenta più buona. Oggi la polenta di miglio non la mangia più nessuno (se non nel contesto di qualche dieta più o meno strampalata).

Insomma, perché un nuovo cibo trovi il suo posto sulla nostra tavola la componente nutrizionale può avere un ruolo importante, ma non è quasi mai determinante: non siamo stufe che bruciano calorie e basta, e dal cibo vogliamo anche che ci dia piacere.

L’uso di farina di insetti per fare prodotti come gli snack o la pasta o le zuppe è interessante perché annulla la componente di disgusto legata all’idea del mangiare insetti senza intaccare le componenti che possono essere interessanti sul piano organolettico (perché gli insetti possono essere buoni da mangiare).

Proprio per questa naturale resistenza culturale all’innovazione in campo alimentare, per ora il settore che appare più promettente dal punto di vista economico – e sul quale si stanno infatti facendo i maggiori investimenti – è quello dell’alimentazione animale.

Le materie prime usate per la produzione di mangimi oggi provengono principalmente dalle coltivazioni di vegetali come la soia o il girasole, ma anche dagli stessi animali. Una quota non trascurabile del pescato e la stragrande maggioranza della produzione mondiale di soia finiscono negli allevamenti. Dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente, incidono molto anche l’acqua usata per l’irrigazione delle colture destinate a produrre materie prime per alimenti zootecnici, e le emissioni di gas serra collegate.

Ridurre l’impatto sull’ambiente

Secondo un rapporto della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, nei vent’anni tra il 1995 e il 2015 la produzione di mangimi per acquacoltura industriale è aumentata di sei volte, passando da 8 a 48 milioni di tonnellate all’anno.
Gli insetti sono animali ad “alta efficienza” che, tradotto in parole semplici, vuol dire che a parità di mangime, producono più nutrienti degli altri animali da allevamento, quindi, di fatto, impattano meno sull’ambiente. Alcune specie possono inoltre essere allevate utilizzando materiali alimentari di scarto. Secondo lo stesso rappoerto della FAO, la farina di insetti potrebbe sostituire – senza effetti negativi – tra il 25 e il 100 per cento della farina di soia o di pesce utilizzata per i mangimi animali.

Certo, anche in questo caso ci possono essere dei problemi. Alcuni di natura etica, perché gli insetti sono animali e quindi dovrebbe valere per loro tutto quello che vale per gli animali di taglia più grande, sia in termini di benessere, quindi di condizioni di allevamento, sia in termini proprio di opportunità di allevamento.

Ci sono poi le questioni ambientali, perché non tutti gli insetti sono efficienti allo stesso modo e non tutti gli allevamenti lo sono. Come sempre, servono studi seri di valutazione dell’impronta ecologica e del ciclo di vita di ogni linea produttiva per poter essere sicuri che quel tipo di allevamento sia più sostenibile di altri con costi che possano essere competitivi.

Insomma, è importante considerare che lo scenario futuro in cui insetti e farine di insetti saranno sempre più comuni non deve preoccupare, ma nemmeno illudere che rappresenti la soluzione a tutti i problemi di impatto ambientale dell’alimentazione umana. Gli insetti possono essere uno dei tanti strumenti che abbiamo a disposizione per ridurre l’impatto ambientale della zootecnia e contemporaneamente ridurre la dipendenza dell’Unione Europea dalle proteine di origine vegetale provenienti dagli altri continenti. E magari possono e potranno essere un’integrazione alla nostra alimentazione.